Il Vivonne, raccolto ed imbarcato tutto il suo esercito, prese terra ad Augusta: ma altro acquisto non potè fare che dare il sacco alla piccola terra di Melilli ed insignorirsi del forte, che le stava appresso, difeso da cencinquanta soldati spagnuoli, i quali, fatta la resistenza, che poterono, s’arresero a buoni patti. Avanzatosi poi verso Catania, di là dal Simeto trovò l’esercito siciliano schierato in battaglia e pronto a venire alle mani. Senz’altro fare il duca di Vivonne tornò ad Augusta, e rimbarcate le truppe, si diresse per Taormina, posta nel miluogo tra Messina e Catania. Il vicerè ne avea tratte le compagnie de’ Tedeschi, che v’eran di guarnigione, e malgrado i reclami del conte di Prades, Carlo Ventimiglia, che vi comandava e lo avvertiva del pericolo, non volle rimandarle dopo la ritirata de’ Francesi, lasciando alla difesa della città i soli paesani armati. Assalita da quattromila Francesi, ogni sforzo del conte di Prades fu vano; la città fu presa, il conte stesso vi restò prigioniere. Il castello di Mola che sta a cavaliere alla città fu espugnato (626).
In questo, rimosso il primo ministro, la somma del governo della monarchia spagnuola era stata affidata al principe don Giovanni d’Austria, il quale rivolse l’animo a rimetter le cose di Sicilia. Diede il governo della guerra al duca di Bornaville sperimentato generale, e truppe fece venire in Sicilia da Genova, da Milano, da Sardegna, da Majorca, da Napoli. E perchè era stato assai ben’accolto da’ Messinesi quando era stato in Sicilia vicerè, scrisse loro una lettera, nella quale promettea il perdono e la conferma de’ loro privilegi, se ritornavano all’obbedienza.
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