Con ferocia degna di un Vandalo passò poi il Quintana a saccheggiare l’archivio pubblico della città. Tutti i privilegi, i diplomi e le pergamene, che colà si conservavano in più casse, ne furono rimossi, e sottratta ne fu del pari la sella e ’l bastone di comando del re Carlo I, imperatore, che quel principe avea lasciato in dono alla città. Tutto sparì, nè mai si è saputo che se ne fosse fatto. Se la ragion di stato volea, che si fossero tolti que’ privilegi a Messina, eran quelle carte da conservare come preziosi monumenti storici. Il farli sparire, il sottrarre una memoria, che l’imperatore Carlo avea voluto lasciar di se ad una città siciliana, fu un affronto fatto a tutta la nazione. Riposti eran pure in quell’archivio più volumi di antichi manoscritti greci, che il senato di Messina avea comprato da Costantino Lascaris, i quali trasportati in Palermo, vi furono serbati con altro spoglio.
Nè qui si tenne la rabbia del conte di Santo Stefano e del consultore Quintana. Infellonivan costoro, più che contro Messina, contro la civiltà siciliana. L’ordine equestre della stella, modello di onore per la nobiltà del regno, fu soppresso; soppresse furon del pari le due accademie letterarie della fucina e degli abbarbicati; soppressa fu la famosa università, ove aveano letto i più bell’ingegni d’Europa; come se l’onore e le lettere, rendon gli uomini docili al santo impero delle leggi, non fossero stati sempre i più saldi sostegni del trono. Fu dalle fondamenta spianato il magnifico palazzo del senato, il suolo ne fu arato e sparso di sale; ed ivi fu eretta la statua equestre del re Carlo II, fatta col bronzo tratto dalla gran campana di quel duomo, al suono della quale si chiamavano i cittadini a consiglio.
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