Il vicerè, per comporre la cosa, avea pregato l’arcivescovo a ritirar l’interdetto, e come erasi ostinatamente negato, fatto prima esaminar l’affare dalla giunta de’ presidenti e del consultore, avea esiliato in Termini il pervicace prelato, il quale avea avuto ricorso a papa Innocenzo XI. La congregazione della immunità ecclesiastica, alla quale il papa rimise l’esame della controversia, decise in favore dello arcivescovo; e dichiarò incorsi nella scomunica il vicerè e coloro che lo aveano consigliato. In questo il conte di Santo Stefano, conoscendo il gran credito, in cui era presso la corte di Spagna quell’arcivescovo, dopo quattro mesi lo richiamò dall’esilio. Egli ritornò in Palermo, ma non volle comunicare nè col vicerè, nè coi magistrati, ch’egli tenea scomunicati. Finalmente dopo tre anni la corte di Madrid ordinò (e solo tal corte in Europa potea ordinarlo) che il vicerè, il suo segretario, il consultore e i tre presidenti fossero assoluti dalla scomunica. Solo al vicerè fu concesso, che la umiliazione non fosse pubblica. La notte de’ 12 di agosto del 1683 recatosi egli privatamente al palazzo arcivescovile, vi fu assoluto. Joppolo presidente della gran corte, il segretario del vicerè Vertivara erano morti; Guerrero presidente del concistoro trovavasi in Ispagna reggente del supremo consiglio d’Italia; Chafallon presidente del tribunale del patrimonio e Quintana furono il giorno 12 assoluti pubblicamente nel duomo di Palermo. Quantum in rebus inane!
VIII. - Pure più che del conte di Santo Stefano ebbe la Sicilia a dolersi del conte d’Uzeda suo successore.
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