Ben mi duole il vedere le principali città agitate da reciproche animosità, nè dopo le ree vicende esser peranco estinte le fonti delle fatali discordie. La stessa Sicilia ci ha visto nascer tutti; lo stesso aere respiriamo; la terra stessa calchiamo. È turpe il dilaniarci; l’invidiarci, lo cantarci l’un l’altro, come se la gloria d’una città non torni a vanto delle altre, o il disdoro dell’una non arrechi alle altre vergogna. Hanno tutti di che darsi vanto Non è tolto all’una ciò che la natura, la fortuna o il merito ha dato all’altra, Scrivete adunque per essere oggetto di invidia e non di scandalo agli scrittori, di amore, e non di sdegno ai concittadini (Prolegom. X ad Maurol.).
Pure fra quella plebe di scrittori, uomini sommi si distinsero in quel secolo, che seppero calcare il dritto sentiero, per illustrare le cose siciliane. Il regio storiografo Antonio Amico da Messina, canonico della cattedrale di Palermo, ove fiorì nel 1641, si die’ con pazienza instancabile a rimuginare gli archivî di Napoli e di Sicilia, e più volumi di diplomi ne trasse, per servir di scorta alla storia sacra e profana di Sicilia (649). Seguendo le sue vestigia l’abate Rocco Pirri, raccolti ed ordinati tutti i diplomi intorno alle cose sacre di Sicilia, ne compilò la Sicilia sacra, ossia la storia di tutte le chiese siciliane. L’abate Martino La Farina, fratello del marchese di Madonia, non men di lui caro alle lettere, nella sua lunga dimora in Ispagna e nel monistero di S. Lorenzo dell’Escuriale, dotto come era nella lingua araba, ne trasse parecchi frammenti storici scritti in quella lingua, i quali hanno poi servito a dar qualche lume sullo stato della Sicilia sotto la dominazione de’ Saracini.
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