Feste, luminarie ed altri spettacoli ebbero luogo nelle altre città del regno.
Veramente i Siciliani grande ragione aveano di esser lieti. Il re Vittorio, amabile, manieroso, a null’altro mostravasi inteso che a promovere il bene del regno. Convocò nel febbraro del 1714 il parlamento in Palermo; nel suo discorso si astenne di chiedere alcun sussidio; disse che avea riunito il parlamento solo per averne i lumi ed i mezzi, onde la giustizia fosse bene amministrata, le scienze e le lettere promosse, il commercio reso più fiorente, perchè il regno possa risorgere all’antico splendore. Il parlamento, comechè non richiesto, non solo confermò tutti gli ordinarî donativi, ma un nuovo ne offrì di quattrocentomila scudi. Pure se lodevole fu la generosità di quel parlamento, biasimevole fu la sua ignavia di non aver saputo proporre altro per lo bene del regno che il darsi un nuovo censo della popolazione del regno (654).
Addì 19 d’aprile del 1714 si allontanò il re da Palermo e per terra si portò in Messina. Vi dimorò sino all’agosto e ne partì, facendosi appena vedere in Palermo, onde mosse addì 5 di settembre verso Genova, per non ritornare più in Sicilia. Dolenti restarono i Siciliani della partenza di un re, il quale bene avrebbe saputo tener la promessa di restituire il regno all’antico splendore. Ma la sventura volle che ad onta delle buone intenzioni e delle ottime qualità di re Vittorio, turbulentissimo sia stato il breve suo regno a causa di una briga insorta nel precedente governo colla romana corte, e che egli non potè mai venire a capo d’acquetare, e bastò finchè egli tenne il regno.
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