Il vicerè convocò il sacro consiglio, per sentirne il parere sulla condotta di que’ tre vescovi, che avean pubblicata la lettera. Tutti que’ magistrati dissero, che degni erano di gastigo. Primieramente perchè il pubblicare la determinazione di una corte straniera intorno agli affari del regno, senza il consentimento del proprio governo, era un violare, non che la prerogativa di un re di Sicilia, ma i diritti di qualunque sovrano indipendente. La lettera poi contenea uno spoglio, che volea farsi al re, del diritto incontrastabile goduto per sei secoli da tutti i re di Sicilia di ricevere per mezzo di un giudice delle cose ecclesiastiche gli appelli di qualunque disposizione delle corti vescovili: e l’obbligare i Siciliani ad avere in questi casi ricorso alla romana corte era uno spogliarli del privilegio di non essere obbligati a piatire fuori del regno. E però fu di avviso il sacro consiglio di doversi ordinare ai vescovi di mandare al governo le lettere pontificie, e, negandosi, staggire i loro beni. Fu spedito a que’ tre vescovi un tal ordine; ma non ubbidirono, sul pretesto che la lettera contenea un’articolo di domma, e trattandosi di domma essi non poteano negare obbedienza al pontefice. Il vicerè rimise l’esame di ciò a sessanta de’ migliori teologi, i quali concordemente decisero, che in quella lettera trattavasi di giurisdizione e non di domma. Altri teologi al tempo stesso, destinati da’ vescovi a tale esame, concordemente decisero, che trattavasi di domma e non di giurisdizione.
| |
Sicilia Sicilia Siciliani
|