E di ciò una luminosa prova diede nel momento stesso della sua partenza.
Trovò nel real palazzo di Palermo i due arieti di bronzo, avanzi dell’antica Siracusa, donati da re Alfonso a Giovanni Ventimiglia primo marchese di Geraci e confiscati ad un de’ suoi successori. Non mancò fra’ cortigiani chi propose di trasportarsi nel palazzo di Napoli; però partito appena il re, furon colà mandati. Ciò rincrebbe a tutti, ma nessuno osava reclamare; chè non appartenevan quegli arieti nè alla città, nè al regno, ma essendo beni di confisca, eran proprî del patrimonio reale. Pure re Carlo, avuto lingua di quel rincrescimento de’ Siciliani, ordinò che quegli arieti fossero tosto riportati nel palazzo di Palermo, e mai più indi rimossi, dichiarando pubblicamente non esser venuto in Sicilia, per ispogliarla de’ suoi ornamenti, ma per accrescerne i pregi; ed in ciò pose ogni suo studio.
Istituì in Napoli un magistrato, che fu detto Giunta di Sicilia, composto da quattro giureconsulti, che avean dato saggio di se nelle alte magistrature, due de’ quali volle che fossero siciliani, ed un barone siciliano volle che fosse presidente, col titolo ed esercizio di consigliere di stato. Ed a richiesta della deputazione del regno stabilì, che quel presidente fosse scelto del numero di coloro, che la deputazione stessa avrebbe proposto. Il parere di quel magistrato chiedea in tutti gli affari di Sicilia. Per tal modo il regno avea sempre presso il trono un valevole difensore delle sue franchigie.
Erasi nell’aprile del 1738 aperto il parlamento, ed il vicerè principe Corsini avea chiesto in nome del re uno straordinario donativo.
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