Siamo ancora lontani dal conoscere ove siano giunte le arti presso di loro. Daremo perciò ricisamente del mandace agli storici? Fra i moderni, oltre il Rollin (Hist. des ant. T. X), che ammette come vera la nave di Gerone, il Tiraboschi (Storia della lett. italiana Par. 2), esaminata con severa critica la sentenza del Montucla, conchiude: non essere da dubitare del fatto; solo potersi sospettare alcuna esagerazione od inesattezza nella descrizione d’Ateneo, ch’egli trascrive, giusta la traduzione fattane dal conte Mazzuchelli.
IX.
Polibio, T. Livio e Plutarco, che minutamente descrivono i fatti dell’assedio di Siracusa, non fanno motto dell’incendio delle navi romane per mezzo di specchi ustorî. Erone, Diodoro Sicolo, Dione e Pappo lo dicono. Le costoro opere, in cui enarrano tal fatto, son perdute, ma l’ebbero per le mani di Zonara e Tzeze, storici greci del XII secolo, ed Antemio valente matematico, che visse sotto Giustiniano. Nelle storie de’ primi due, e nel frammento, che resta delle opere del terzo, è descritto il fatto sull’autorità di que’ primi. Ciò, se non prova positivamente la verità del fatto, prova che gli antichi non ne dubitavano. Fra’ moderni, molti hanno negato, non che il fatto la possibilità di esso. Decartes nel suo trattato di diottrica dichiara favolosi gli specchi ustorii d’Archimede; ma il suo ragionamento poggia sii d’un principio falso. Egli stabilisce, che la maggiore o minor grandezza d’uno specchio ustorio può solo valere a riunire i raggi solari in un punto più o meno distante; ma non mai ad accrescere il calore; e però solo i semidotti in ottica possono prestar fede all’incendio delle navi romane fatto da Archimede cogli specchi ustorî, i quali per riunire i raggi solari alla distanza in cui erano le navi, avrebbero dovuto essere grandissimi; e perciò son da tenersi favolosi.
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