In generale poi molti pensano che, malgrado l’autorità di T. Livio, Polibio e Plutarco assai sia da sottrarre alle narrazioni de’ portentosi effetti delle macchine d’Archimede, i quali devono ascriversi alla esaltata immaginazione de’ soldati romani, che, presi di paura per l’inaspettata resistenza, si diedero a magnificare i pericoli. Ma è da considerare che in tutto il tempo, che bastò l’assedio di Siracusa, i Romani mai più osarono venire allo assalto; ciò prova la insuperabile resistenza che incontrarono. Ed altronde per destare tanta paura in petti romani, dovevano esser cose troppo al di là dell’ordinario. Non è finalmente improbabile, che le aste di frassino, che Verre trasse dal tempio di Minerva in Siracusa, pregevoli solo, come Cicerone dice, per l’incredibile grandezza, fossero state le leve, di cui Archimede si valse, per levar di peso le navi romane.
X.
Cedreno (presso Caruso, ivi, pag. 64) narra il mezzo, per cui Adriano seppe prestissimo la caduta di Siracusa. Nel Pelopponneso, egli dice, è un sito che si chiama Helos, per esservi vicino un bosco. Ivi erano le navi greche. Un pastore, mentre una notte era in quel bosco, intese i diavoli a raccontare la caduta di Siracusa il giorno avanti. Il pastore lo disse ad altri. Di bocca in bocca la notizia giunse ad Adriano, il quale, avuto a se il pastore, gli fece narrar la cosa. Volendo crederlo alle proprie orecchie, andò egli stesso al bosco. I diavoli con somma gentilezza ripresero a narrare fil filo lo assedio e la resa della città. Pure non volle crederlo (e come credere ai diavoli!
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