Così facendo ravviseremo in Gregorio un uomo, il quale, venuto fuori d’una classe esclusa a quel tempo da ogni potere politico ed appoggiatosi sulla sola forza del suo ingegno e della sua volontà, sollevò la Chiesa dal suo avvilimento e ad uno splendore la portò fino allora sconosciuto. Vedremo per lo contrario in Arrigo un uomo (appena merita questo nome!), a cui avea il padre lasciato un potere quasi assoluto sopra un popolo valoroso e ricco secondo la ragione dei tempi, e che malgrado questa abbondanza di mezzi esteriori portato dalla viltà della sua natura a cadere nel fango di vizi così vergognosi, che la lingua a nominarli ripugna, si abbassò al grado di vil supplicante, e dopo aver calpestato quanto gli uomini han di più sacro, tremò alla voce di un eroe per sola forza d’ingegno.
«In verità fa mostra di animo assai meschino colui, che si lascia offuscare l’intelletto dal sentimento di nazionalità, al punto di non rallegrarsi del trionfo riportato a Canossa da un sublime ingegno sopra un uomo vile e d’indole abbietta e spregevole.»
Finalmente giova esporre il modo come narra la morte di Gregorio VII accaduta in Salerno nel maggio del 1085.
«Gli ultimi suoi dì furono contrassegnati dalle sventure, sì per l’abbandono in che lo lasciarono i suoi amici, e sì per le infermità onde fu travagliato; ma niuna cosa non lo potette svolgere da ciò che una volta avea conosciuto siccome necessario a’ tempi suoi e conseguentemente divino. Morì dicendo: Dilexi justitiam et odi iniquitatem, propterea morior in exilio.
| |
Gregorio Chiesa Arrigo Canossa Gregorio VII Salerno Dilexi
|