Racconta egli che il re condannò Ruggiero di Plenco alla forca, ordinò che il conte Tancredi lo strangolasse colle proprie mani, che questo signore fu costretto suo malgrado di ubbidire alla volontà del re. Il buon cassinese non seppe capire le parole del Beneventano, il quale dice: continuo Rogerium ipsum (de Plenco) laqueo suspendi praecepit. Praecepit etiam, ut Tancredus ipse manu sua funem laquei traheret... Tancredus ipse invitus regis voluntati obtemperavit. Se egli avesse riscontrato le annotazioni di Camillo Pellegrino alla cronaca del Beneventano, avrebbe trovato che comentando quelle parole (presso Caruso, Bibl. Hist. Tom. I, pag. 395) mostra esser costume in que’ tempi che coloro ch’erano appiccati, andavano al patibolo col capestro al collo, tenendone il capo il carnefice, che li precedeva. Il conte di Conversano, oltre alla ribellione, era reo di slealtà; però il re, non fu contento al mandarlo, come gli altri, nelle carceri dì Sicilia; per l’alta sua dignità gli risparmiò la morte; ma gl’inflisse un castigo, più severo, facendolo stare in figura di carnefice. È poi da considerare che il Telesino nulla dice di tale ignominia fatta al conte di Conversano. Nè può credersi ch’egli abbia a bello studio taciuta quella circostanza; perchè narra l’essere stato appiccato il Plenco, l’essere stati o presi od uccisi gli altri militi che fuggivano, l’essere stata la città di Montepiloso arsa e dalle fondamenta distrutta; e, lungi di trovare un che di reprensibile in tutto ciò, esclama: Nunc itaque prudens lector diligenter consideret, quantum sceleris sit perjurii crimen committere.
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