La filosofia accolse poscia nella sua scuola l’eloquenza e l’ammaestrò a trattar sodamente i grandi interessi della società, a difender l’innocenza oppressa, e a rivendicare i dritti usurpati. E ciò appunto fu il suo maggior trionfo; ma, ahi, che l’uomo spesso ne abusa e la rivolge a mal fine!
Però quella facoltà intellettuale, che con lo strumento di splendida, efficace ed ornata parola commove, e conquide gli animi altrui, e li trascina se vuole all’utile e al giusto, fu concessa a pochi da natura, la quale, come delle gemme e dell’oro è sovente avara de’ pregevoli doni dell’ingegno. E anche a’ pochi suoi prediletti non la diè bella e forbita; ma, come le gemme e l’oro, grezza ed incolta; talchè abbisogna dell’arte, che può solo ridurla a quella perfezione di cui è suscettiva.
Or quest’arte di tanta importanza sorse prima in Sicilia dalla mente di Corace Siracusano, passò, qual elettrica scintilla, in Tisia suo concittadino e in Gorgia leontino, e da Sicilia trascorse con essi in Grecia, e formò que’ famosi oratori, le cui opere sublimi sono ancor l’ammirazione e il modello di tutti i culti popoli dell’Europa.
Ivi l’eloquenza afforzossi con le armi della dialettica, che Corace e Tisia diedero informi a Zenone di Elea, il quale, le rese forbite e forse affilate di troppo, e falsamente ne fu creduto inventore.
Marmontel dunque a torto credette che l’eloquenza fosse stata inventata in Grecia (677), contro le testimonianze di tutti gli antichi scrittori, come vedremo.
Di Corace e di Tisia, decoro e fasto della nostra antica letteratura farò ragionamento per accertar loro quel vanto da alcuni contrastato, o supposto diviso con altri.
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