Tutti quelli che usurparono il supremo potere in varie nostre repubbliche si valsero dell’eloquenza, e de’ segreti maneggi per sedurre, illudere, e riportar l’assenso del popolo al loro innalzamento alla tirannide.
Nella guerra degli Ateniesi contro Siracusa, segnalaronsi come oratori di quella città Ermocrate di Ermone, e Atenagora (679), La più maschia eloquenza era spontanea nella loro bocca, pria che Corace ne avesse scritte le regole, che Tisia diffuse poi in Grecia, ove finallora erano oratori per natura, e non per arte.
A Corace Siracusano appartiene bensì tutta intera la gloria dell’invenzione della rettorica, e di averne scritto il primo i precetti. Nè ciò è picciol vanto; perocchè quell’arte divina ingagliardisce e rende efficace la ragione, per mezzo di fulminanti od ornate parole, e soccorsa dalla dialettica, sua sorella, fa valere presso i magistrati i dritti degli uomini, e rivolta al popolo può salvar la patria da gravissimi pericoli. Se non che diviene talvolta fatale pel tristo uso che se ne fa; di che non deesi incolpar l’arte del dire, ma la natural tendenza degli uomini a rivolgere in male quanto dall’Essere Supremo è stato loro in bene concesso.
Il chiarissimo abate Domenico Scinà inclinava a credere nella sua egregia opera intorno ad Empedocle che a quel filosofo Agrigentino anzi che a Corace Siracusano attribuir si dovesse l’invenzion dell’arte rettorica. Col profondo rispetto, che debbo alla sua dottrina, alla memoria e riconoscenza che di lui perennemente conservo, son costretto da intima persuasione e da moltiplici antiche testimonianze a non togliere a Corace quel vanto, godendone altronde il grande Empedocle ben altri e di maggiore impor tanza.
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