Essendogli succeduto Trasibulo, ed espulso costui dopo undici mesi di violenta oppressione, Corace pervenuto in età virile seguir dovette la fazione di Gerone, la quale gli assicurò la corona di Siracusa, lasciatagli dal suo fratello Gelone. Perocchè divenne a lui familiare, ed ebbe parte negli affari del governo, che per vero fu da pria più aspro ed abborrito di quello del suo predecessore. Se non che negli ultimi anni, oppresso da grave male, divenne egli più mite, e circondossi dello splendore delle lettere, che diessi a proteggere. Corace quindi partecipa al biasmo, alla gloria di Gerone, e all’onore di aver conversato con Simonide, Pindaro, Bacchilide, Eschilo ed Epicarmo, che erano alla corte di quel munificente sovrano, e lenivano la lunga ed affannosa infermità che consumava la sua vita. Ma i poeti che accostavano Gerone e Pindaro principalmente, con i sublimi encomii, non poterono cancellar le brutte e sanguinose pagine che pria lasciò di sè. Però il suo cortigiano Corace fattosi fautore, ed orator del popolo, colla sua mirabile invenzione, e con l’opera ingegnosa, che assoggettata avea a norme certe l’eloquenza, acquistossi eterna rinomanza.
Alla occupazione della curia e di arringare il popolo congiunse Corace l’altra dell’insegnamento della gioventù in quell’arte che procacciato gli avea tanto onore; e, poichè la ridusse a regole in iscritto, aprì scuola in Siracusa; e fu, come dissi, suo primo allievo Tisia. A quel gran precettore correr dovevano quanti in Sicilia e nella vicina magna Grecia ambivan di segnalarsi nell’eloquenza giudiziaria e della bigoncia, onde ottener influenza e cariche nelle repubbliche ed arricchirsi nell’esercizio della professione forense.
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