Se gli antichi scrittori non ci riferiscono che Tisia perorasse in favor di Siracusa, che a questo officio non l’avea destinato, è da credere verisimilmente che l’abbia fatto da sè per debito ed amor verso la patria. Però se in Atene non conseguì i primi onori, al paragon di Gorgia, più splendido e ammaliante oratore, vi ottenne bensì i secondi, finchè sorse Isocrate. Ma quei che apprender voleano le regole dell’eloquenza, faceansi uditori ed allievi di Tisia e di Gorgia. Difatti il riferito Isocrate fu discente dell’uno e dell’altro, al dir di Plutarco e di Dionisio di Alicarnasso (692), e sembra che più si riconoscesse grato a Tisia; per la fama acquistatasi; perocchè nel suo sepolcro scorgeasi scolpita la immagine di costui, anzichè di Gorgia, essendosi egli più allo stile del primo accostato nelle sue orazioni che a quello dell’altro; e ciò argomentasi dall’esser men viziato dell’abbagliante orpello del Leontino oratore.
Platone però nel suo dialogo del Fedro taccia Tisia e Gorgia di anteporre nelle loro orazioni il verisimile al vero, d’ingrandire le piccole cose, e talvolta impicciolir le grandi, di farvi apparir nuovo ciò che è vecchio ed all’incontro, e infine di esser prolissi nella dizione. Ma Platone era educato alla scuola severa di Socrate, cui pone per interlocutore nel suo dialogo, e mostravasi avverso all’eloquenza artificiosa del foro, ed amava in preferenza quella più forte e di soda argomentazione filosofica, rallegrata bensì ed abbellita da fiori poetici, che ciascuno ammira nelle opere sue.
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