Primas itaque partes principia, vel proaemia vocavit, secundas exercitamenta, tertias epilogos, vel conclusiones; et ita Corax Syracusanus opus Rhetorices ostendens populo Syracusano, persuasit, quae voluit, quae finis est artis nostrae (694).
Fin qui Ermogene: nè altrimenti Cicerone narrò l’invenzion della rettorica, attribuendone bensì il vanto non solo a Corace Siracusano, ma insieme a Tisia, suo concittadino e scolare, come abbiam veduto nel passo citato di sopra, e come in quest’altro conferma ciò sull’autorità di Carmada: «Nam primum, quasi dedita opera, neminem scriptorem artis (rhetoricae) ne mediocriter quidem disertum fuisse dicebat (Charmadas) quam repeteret usque a Corace, nescio quo, et Tisia, eos artis illius inventores et principes fuisse constaret, eloquentissimos autem homines, qui ista nec didicissent, nec omnino scire curassent, innumerabiles quosdam nominabat (695).»
Dagli addotti brani di Ermogene e di Cicerone puossi ritrarre che Corace, creato da natura abilissimo e facondo oratore, meditando sulle proprie arringhe, rivolte al popolo siracusano, ancora estuante pel cessato oppressivo governo di Gelone e di Gerone, abbia ricavato che ogni orazione ben condotta costar debba di tre parti; cioè l’esordio e la proposizione, la narrazione e prova dell’assunto, che gli antichi chiamavano exercitamenta e l’epilogo. Or siccome son queste le basi fondamentali dell’arte rettorica, e furon da Corace speculate; così a lui ascriver se ne debbe l’invenzione. Le due orazioni poi che sappiamo aver profferito al popolo, appartenendo la prima al genere dimostrativo, e l’altra al deliberativo, ed essendosi, come attesta Cicerone, esercitato in seguito nelle controversie forensi, onde è costituito il genere giudiziario, pria che gli altri col suo ingegno perspicace conobbe e stabilì i tre generi dell’oratoria che sono le nozioni più interessanti dell’arte rettorica.
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