XXXIII.
Io non credo doversi ciecamente abbracciare la sentenza dell’egregio Autore, poichè, secondo mio avviso, nè tutti gli scrittori di quell’epoca furono miserabili, nè tutti solamente scrissero sulle tante religiose controversie, alle quali die’ luogo l’innesto, che fecero i Greci, della metafisica platonica sui precetti purissimi di Gesù Cristo. Forse non sarà discaro aggiunger qui un cenno sulla cultura della Sicilia in quell’epoca.
Poichè la sede dell’impero romano da Costantino venne trasferita in Bizanzio, quind’innanzi appellata Costantinopoli, e in Sicilia venne universalmente abbracciata la cristiana religione, i Siciliani meritevoli di qualche nome son tutti vescovi o monaci. Anche in Sicilia presso i soli ministri del Santuario non si spense la face dell’umano sapere; la quale, se non brillava di luce smagliante, pur dava tal lume da impedire, che i popoli non precipitassero nel tetro abisso, in che la barbarie delle orde settentrionali, l’eresie loro e dei Greci dominatori gli avrebbono senza fallo travolto.
Infatti quando la mala peste dell’eresia cominciò a travagliar la Chiesa, non pochi vescovi siciliani sorsero animosi a propugnare il domma cattolico. Il vescovo Capitone combattè contro Ario nel Concilio Niceno, il vescovo Giustino sulla fine del secolo V intervenne al Concilio Romano e impugnò gli errori di Pietro Fullone. E Giuliano vescovo di Catania nella seconda metà del secolo VII venne dal sommo pontefice chiamato in Roma a prepararvi con altri vescovi illustri di quei tempi gli articoli da discutersi nel concilio di Costantinopoli, per conquidere l’eresia dei monoteliti.
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