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      Se ne deliziava particolarmente il popolo toscano; perchè vi leggeva fatti, di cui tutti eran testimoni; vi vedea dipinte al vivo persone che tutti avean conosciute: e per le fazioni, dalle quali era allora scissa la Toscana, quale per la compiacenza di leggere la pena inflitta al nemico, quale pel dispetto di vedervi mistrattato il consorto, tutti avidamente leggevano la divina commedia, la quale in breve tanto si divulgò, che i sette primi canti, che Dante ne avea scritto prima del suo bando, si cantavano per le strade dal volgo, presente il poeta. Son noti i due fatti narrati da Franco Sacchetti. Una volta, passando Dante avanti la bottega d’un fabbro, lo intese a cantare i suoi versi, e cantando li storpiava; a ciò Dante entra furioso nella bottega, piglia le tenaglie, i martelli e tutti gli strumenti del fabbro e li gitta via sulla strada, dicendogli: Tu mandi a male i miei versi, che sono gli strumenti dell’arte mia, ed io gitto via i tuoi. Altra fiata gli venne visto un uomo, che tenendo dietro ad alcuni somieri, iva cantando di que’ versi; Dante lo seguiva in silenzio; quello, mentre cantava, gridò Arri, per affrettare i somieri; Dante li scaricò un colpo del bracciale che portava, sulla schiena, gridandogli «questo Arri io non lo scrissi.»
      Or se a dì nostri chiunque fa qualche studio sulla Divina Commedia, acquista gran proprietà di lingua, è facile il concepire quanta maggiore avesse dovuto acquistarne il popolo toscano, che la sapea per lo senno a mente. Tutti i vocaboli usati da Dante passaron così nella bocca della plebe; e bastava solo ciò a fargli acquistare quella straordinaria purità di voci, per cui questo popolo si distingue; ma non fu solo ciò. Vi concorse il Petrarca, le cui poesie trattano le cose di amore con una delicatezza ignota a tutti i poeti anteriori.


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Somma della storia di Sicilia
di Niccolò Palmeri
Editore Meli Palermo
1856 pagine 1468

   





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