Questo storico vede sempre parlamento, ove non è. Carlo voleva far proferire la sentenza ad un’adunanza sol per salvar l’apparenza e dar colore di giustizia all’assassinio; era egli crudelissimo, ma avvedutissimo, e ben sapea che, incaricando del giudizio il corpo de’ baroni, essi non sarebbero stati docili nè a profferire la sentenza ch’ei volea, nè a tollerare che, messo da parte il voto di tutti gli altri, si eseguisse la sentenza di un solo. Lo stato generale del regno altronde non consentiva la riunione del parlamento. La Sicilia e la Calabria, che costituivano il regno, s’erano già sottratte al dominio di Carlo; grandi perturbazioni erano in Puglia; restavano tranquille solo la Terra-di-lavoro e la Capitanata; ma dei baroni di queste provincie molti erano profughi, molti prigionieri, e tutti sospetti. Per avere un’adunanza servile si chiamarono due buoni uomini da ognuna delle città di quelle due provincie. Saba Malaspina espressamente dice: Rex autem ex generosis civitatibus Terrae laboris, et Principatus Syndicos duos bonos viros ex qualibet terra pro Corradini sententia Neapolim convocavit, ut non suum, quod acturus erat de Conradino judicium videretur, sed potius hominum de contrata. È poi degno di nota ciò che tale scrittore soggiunge: Fortassis enim circa hoc conscienzia mordebatur, quod eum captum de jure non posset ultimo damnare supplicio, qui ejusdem Regis hostis fuerat manifestus. Sed volebat, quod praedictorum periret judicio, et eorum sententia sanciretur, quorum spolia occupare et temeraria arripere intentaret (ivi, pagina 798). Ma la delicatezza di coscienza, ch’egli suppone in Carlo d’Angiò, sarebbe sparita, s’egli avesse narrato tutti i particolari di quel giudizio; perciò soggiunge: Factumque est ita quod contra Corradinum, Ducem Austriae, et Comitem Gerardum de Pisis apud Neapolim mortis est sententia promulgata.
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