titolo d'Inquisizione processata(34), e fu condannata dal S. Officio di Roma i 14. aprile 1682. In quelle l'apostasia e l'irreligione degli autori unita alle aperte falsità, che spacciano arditamente, scemano di molto quel credito, ch'essi hanno procurato di conciliar loro coll'erudizione, e collo stile assai colto. In questa tutto collima a renderla deforme e dispregevole. Delle prime vi posso dire con verità, che nulla contengono che non sia favoloso e sofistico: di questa non so che vi dire, perchè nulla contiene che sia decente e soffribile. Il ridicolo autore si vanta d'avere scritto un'opera storica; e nulla dice di vero che possa appartenere alla storia dell'argomento che ha per le mani. Si vanta di voler dir cose delle quali non si potrà mai giustificare il tribunale del S. Officio; e nulla dice che in qualche modo al S. Officio appartenga, ed abbia bisogno delle nostre giustificazioni. Pretende di disingannare i lettori; e si contenta che questo capo d'opera, confessato da lui capace d'attediare chiunque colle lunghe sue dicerie e collo stile abbietto, sia confuso cogli altri, e prima di esser letto sia condannato a quella obblivione e disprezzo, che merita per mille titoli. Ecco come parla al lettore nel presentare a' suoi sguardi questo nobil parto del suo raro talento, ed io l'espongo colle stesse sue parole, perchè bastano queste sole a scoprirne il carattere: Che se tu stimi che l'abbassar gli occhj su questo libro sia un'avvilire il tuo merito ti prego di accumularlo(35) almeno con gli altri cittadini del tuo museo, affinchè col zero del suo valore, accresca il numero(36) alla plebe più minuta degli altri tuoi libri: così egli.
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