LETTERA SESTA.
II delitto d'eresia merita severo castigo.
Lo scioglimento del dubbio, che m'avete proposto nell'ultima vostra, altro non può costare a me, preso in generale, che la tenue fatica di dedurre una semplice conseguenza, che nasce da quelle verità che v'ho scritte sin'ora. Voi cercate se il delitto d'eresia debba essere punito; ed io vi rispondo con tutti i migliori giuristi e filosofi, che come la ripercussione dell'eco succede naturalmente alla voce, e come nasce dalla radice la pianta, così il castigo corrisponde e nasce spontaneo da quella colpa, che lo ha preceduto: e se l'eresia è un delitto, ragion vuole che porti seco quel reato di pena che l'accompagna. L'ordine della giustizia, che viene per la colpa turbato, come insegna l'Angelico(198), dev'essere colla dovuta soddisfazione restituito al perduto equilibrio: Actus enim peccati facit hominem reum poenae in quantum transgreditur ordinem divinae justitiae, ad quem non redit, nisi per quamdam recompensationem poenae, quae ad aequalitatem justitiae reducit: e nulla v'ha nel delitto d'eresia, fecondo già come v'ho detto de' maggiori sconcerti, che possa renderlo immune dalla condizione degli altri. Ma è egli poi soggetto alle umane del pari che alle divine disposizioni, e può egli essere punito anche da noi? o non è piuttosto per la stessa sua gravità da riservarsi al solo giudizio di Dio? Preso in questo aspetto non va esente da ogni difficoltà il vostro dubbio, ch'io reputo per ciò ragionevolissimo, e prendo a sciogliere colla maggiore possibile brevità in questa lettera.
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Angelico Actus Dio
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