LETTERA OTTAVA.
Continuazione dello stessa argomento, e vanità d'altrescuse e pretesti che vengono addotti per sostenere
l'impunità degli Eretici.
È
facile il trionfo quando il nemico combatte contro la verità manifesta; ma non può essere breve il combattimento se all'ingiustizia della causa si unisce l'indocilità del partito, che tenta ogni strada e s'appiglia ad ogni benchè screditato e ruinoso ripiego per sostenersi. Quest'è la viziosa disposizione de' nostri contraddittori, e questa è la misera condizione, alla quale siamo condannati dalla loro ostinazione e protervia. Rovesciati i deboli ripari che si erano procacciati tra le sognate chimere del loro indifferentismo e della loro affettata ignoranza, alzano indefessi i nuovi fortini, che vi ho indicati nell'altra mia, e dalla sfrenata libertà che fingono in noi di pensare e parlare a capriccio in materia di Religione, dall'impossibilità che trovano nell'umana legislazione di compensare a dovere le ingiurie dell'Ente supremo, e dal pericolo, in cui vedono i giudici di nuocere piuttosto coll'asprezza che di giovare al ben pubblico, si procurano un'ostinata difesa. Ma tutto in vano; chè non sono questi ripieghi meno vacillanti e ruinosi degli altri. Il primo che abusa della libertà che ha l'uomo nel credere è d'ogni altro il più debole, come quello che va a distruggere quella tolleranza medesima che cerca di sostenere. Imperciocchè egli è bensì ragionevole che non sia punito chi non crede ciò che ignora invincibilmente, supposizione peraltro da me esclusa nell'Eretico nell'altra lettera; ma il dire che quello non può essere castigato, perchè la Fede è libera, che altro è egli mai che un dire, che non dev'essere castigato perchè merita i più severi castighi?
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