A me basta solo di dimostrare, che al bisogno della cristiana società ed all'onor della Fede non provvede abbastanza lo spirituale castigo delle censure, ma convien dar di piglio talvolta anche al materiale e sensibile. Per farlo poi con quell'efficacia, che conviene ad un argomento di tanta importanza, presuppongo con S. Tommaso(348), che la pena allora soltanto è capace d'impedire i disordini e distorre gli uomini dalle perverse loro intraprese, quando priva il colpevole di que' beni che ha molto a cuore; e secondo che riesce a lui più o meno molesta la privazioni di questi, riesce altresì più o meno vantaggioso il castigo. Ed avvertite, che la molestia non è da rilevarsi dalla sola qualità del bene considerato in se stesso, ma dalla stima che ne fa chi ha motivo di temerne lo spoglio: potendo accader di leggieri che per privata indisposizione non risenta taluno noja e rammarico dalla perdita d'un bene grandissimo, solo perchè o non lo conosce o non la apprezza abastanza. Nulla poena, dice Quintiliano(349), est nisi invitis; e non può dispiacere la perdita di un bene, che non si stima; anzi a far sì che tutta eserciti la pena quell'attività, che si ricerca all'intento, non solo è necessario che la privazione riesca molesta, ma, al dire del Pufendorfio(350), la perdita ed il dolore deve preponderare al lucro e piacere per modo, che vi sia sempre più da temere di male incontrando il castigo, di quello che [132] vi sia da sperare di bene operando malamente: si scopum suum, dic'egli, debent obtinere poenae, adparet, eas eousque esse intendendas, ut acerbitas earundem praeponderet lucro et delactationi, quae ex facto legibus vetito redundare potest.
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Fede S. Tommaso Quintiliano Pufendorfio
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