Ad espressioni consimili a quelle di Tertulliano, e però suscettibili di egual'interpretazione aggiunge Lattanzio, come sì è detto, l'esortazione ai Gentili di abbandonar la vendetta ai loro Idoli: e move Atenagora alcune querele pel diverso trattamento, che usavano i Gentili con quelli, che tante e sì obbrobriose cose spargevano de' loro Dei, riservando poi pe' soli Cristiani il castigo. Ma sono queste ingegnose frasi e maniere atte ad indurli a meglio considerare la vanità de' loro Idoli e l'irregolarità della loro condotta, non sentimenti diversi da quelli del testè accennato dottor'Africano. Una più seria riflessione sull'irregolare maniera del loro procedere poteva bastare a farli pentire delle crudeltà già intraprese, ed a restituire ai Cristiani quella libertà che cercava Atenagora. Un sol pensiere gettato sopra la vanità di quegl'Idoli, che adoravano, era più che bastevole non che a far cessare quelle persecuzioni, che impugnava, ma a ridurre gli stessi Idolatri a miglior senno, come bramava Lattanzio. Impedì con quest'arte il padre di Gedeone quelle vendette, che macchinavano gli Effraiti contro il figlio, che aveva distrutto il bosco e l'altare di Baal, e li richiamò in gran parte a quel culto del vero Dio, ch'egli stesso colla sua famiglia prese poi a venerar fedelmente. Si Deus est, vindicet se de eo, qui suffodit aram ejus: così Gioas(375). E non ebbe forse altro in mente Gamaliele allorchè procurò di distorre gli Ebrei dal macchinare la ruina del nome cristiano, esortandoli a lasciare al tempo la decisione della sua qualità ed origine.
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