LETTERA DECIMATERZAAnche la pena di morte è opportuna e giusta allorchè
trattasi di Eretici impenitenti.
Se voi aveste della morte quell'opinione che ne aveva il filosofo o per meglio dire l'impostore Apollonio Tianeo, il quale, al riferir di Filostrato(379), la riputava la più mite tra tutte le pene, non avreste mai dubitato se sia o no eccedente nè giudizj di Fede. Non ha luogo l'eccesso ove il castigo è mitissimo. Ma voi siete più giusto estimator delle cose, e considerate la morte pel maggior castigo temporale che possa soffrire fra noi un colpevole; e col dottissimo Pegna confessate che quaelibet poenitentia, in quam mortis supplicium commutatur, mortis comparatione levis censetur(380). Così la pensa anche il tribunale del S. Officio, il quale non abbandona all'estremo supplicio che gente di perduta coscienza e rea delle più orribili empietà. È dunque ragionevole il vostro dubbio; e allora solo diverrebbe imprudente e strambo, quando richiamata la cosa a maturo esame voleste restare nelle vostre incertezze, ed anche a fronte dell'autorevole principio da cui discende e delle molte invincibili prove che ne persuadono l'equità voleste credere la pena di morte irregolare ed ingiusta. Di niuna pena per verità aveva io disegnato di sostenere in ispecie la convenienza e giustizia, e per amore di brevità e per non ripetere inutilmente ciò che hanno detto di loro Alfonso di Castro, il Pegna e tanti altri: siccome però voi avete mostrato desiderio ch'io m'occupi di questa con maggior precisione; e pare altresì che questa pena porti seco maggior contraddizione, ed abbia più bisogno e diritto d'ogni altra d'essere sostenuta; così mi presto volontieri al vostro genio: e credo che resterà soddisfatto abbastanza solo che lo inviti a riflettere al principio integerrimo da cui deriva, ed ai personaggi più illustri che l'hanno sostenuta e difesa contro le più impegnate contraddizioni.
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