Nulla credo di dover'aggiungere di più per maggiormente convincervi di una verità per se stessa abbastanza palese; onde in attenzione di ulteriori comandi mi dico colla solita venerazione
LETTERA DECIMAQUINTA.
Appartiene alla Chiesa il castigare gli Eretici.
Era ormai tempo di mutare scena; e dopo di avermi trattenuto sì lungamente nel farmi esporre l'enormità del delitto di chi abbandona laà Fede, e la qualità ed estensione della pena che corrisponde al medesimo, era ben conveniente, che mi stimolaste a fissare il giudice competente di queste cause; poichè la condanna non è mai giusta, se alla gravità del delitto e proporzionalità della pena non si accoppia la legittima autorità di chi si accinge a punirlo. A dirvela però come la senta, io m'andava lusingando che bastasse quello che ho detto, perchè da per voi stesso lo poteste indovinare. Trattandosi di uno, che è colpevole perchè abbandona la Fede, per la quale s'era unito ed assoggettato alla Chiesa non senza la più solenne promessa(425) fatta in faccia agli altari di starvi immobilmente congiunto, a chi altro mai è da credersi che appartenga il castigarlo fuori che alla Chiesa medesima, la quale soffre l'ingiuria dell'indegno abbandono, ne risente il grave danno, ed ha la gelosa incombenza di provvedere alla sua salute e a quella di tutti i suoi Figli non meno, che alla dilatazione del divin culto ed onore ed alla propria conservazione? Se io domandassi a voi a chi tocca castigare i delitti comuni dei cittadini, non esitereste punto a rispondere, che tocca alla civile società, la quale essendo perfetta basta a se stessa per procurarsi quella pubblica temporale felicità, cui è diretta, e che non si può ottenere senza punire i colpevoli.
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