Per non ripetere però inutilmente le cose già dette convien distinguere ciò, che ammettete senza difficoltà, da ciò che vi lascia tuttora in qualche dubbio. Voi dite d'esser restato convinto del diritto che ha la Chiesa d'agire nelle cause di Fede non solo quanto al domma ma ancora quanto al fatto, e di condannare non che i libri ma anche le persone che meritano d'essere condannate: e di questo non farò più parola. Dite poi di non essere restato persuaso egualmente quanto al diritto, che ho a lei attribuito, di fulminare pene anche temporali, quando non sono di mutilazione o di morte. Ove trattasi di tali pene pare a voi che sarebbe dicevol cosa che ne fosse lasciata tutta l'incombenza alla podestà secolare; o se pure si vuol riservata alla Chiesa, credete almeno che sia necessario di mostrare con più sodi argomenti e come sussista in lei un tale diritto, e come l'esercitarlo non rechi alcun pregiudizio nè al suo stato tutto spirituale e celeste nè alla maestà de' sovrani, che diviene per tal modo spettatrice inoperosa delle più miti e vile esecutrice delle coazioni maggiori, e come non resti in tal modo pregiudicata l'unità della causa. Sono questi i dubbj che vi molestano tuttora, e sono di tal rilevanza che non posso io e per le fatte promesse e per la molta premura che ho del vostro bene lasciare senza una adeguata risposta. Siccome però non tutti possono essere sciolti a dovere in una sola lettera, così prenderò a darvi la dovuta soddisfazione in più d'una. Altro non farò in questa che addurre, [189] come bramate, nuove prove e ragioni per meglio presidiare l'autorità, che ho accordata alla Chiesa, d'infliger pene temporali, non senza accennare in fine sode ragioni e congetture che persuadono che non il solo diritto di decretarle, ma la stessa loro esecuzione può a lei convenire, e non sarebbe affidata con egual frutto a ministri della podestà secolare.
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