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      Abusavano un tempo i Manichei, a detta dello stesso S. dottore, del testo di S. Luca, in cui Gesù Cristo dichiara che il suo regno non est de hoc mundo(490), per provare che i regni del mondo erano informe parto del Dio cattivo; ma bastò a smentirli l'assurdità istessa del loro sistema. Ne abusarono in appresso gli Anabattisti per distorre i Fedeli dal pensiero di obbedire ai sovrani; ma furono convinti [206] di empietà dalle sentenze chiarissime di S. Pietro e S. Paolo. Ne abusarono Fr. Paolo e Marcantonio de Dominis ed il Richerio per richiamare la Chiesa al solo diritto di spargere la parola di Dio e di amministrare i sagramenti e rendere in istrane guise dipendenti dalla secolar podestà i suoi Pastori; ma furono confutati dal Comitolo(491) dal Belarmino(492) dal Mamachio(493) e cent'altri. Ne abusano adesso i moderni Giansenisti e Regalisti col fine medesimo, e segnatamente per privare la Chiesa d'ogni diritto anche indiretto sulle cose temporali; ma restano confutati, a detta di S. Tommaso istesso, dal testo medesimo, che nega bensì che sia la Chiesa regno di questo mondo, ma non già che sia nel mondo. E vuol dire che non è del mondo, perchè non ha da lui l'origine e le principali sue prerogative; ma è nel mondo, perchè è composto d'uomini che nel mondo sussistono, e nulla a lui manca di tutto ciò che è necessario al suo buon regolamento e governo. Ha beni sovrannaturali che lo sollevano ad un grado superiore a quant'altri nascono dal mondo, ed ha beni e forze temporali che lo sostentano e difendono tra le miserie del mondo, e gli uni e gli altri provengono da liberale disposizione del Cielo, il quale consapevole che i diletti suoi figli e discepoli ne avrebbono avuto bisogno, non i primi soltanto a larga mano diffuse ma accordò loro il diritto di provvedersi anche dei secondi, anzi promise loro ch'egli stesso ne sarebbe divenuto generoso dispensatore, se più che ai temporali avessero rivolte le loro mire ai beni spirituali e celesti.


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Della punizione degli Eretici e del Tribunale della S. Inquisizione
Lettere apologetiche
di Vincenzo Tommaso Pani
pagine 736

   





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