LETTERA VENTESIMATERZA.
Si conferma quanto è stato detto colla costante praticadella Chiesa per tutto il tempo che ha preceduto
l'istituzione del tribunale del S. Officio.
Non sarebbe men vero quanto vi ho esposto finora intorno al diritto che ha la Chiesa di castigare gli Eretici con pene anche temporali, quantunque fosse stata impedita talvolta di eseguirlo. Non si fa sempre ciò che si può: e non sono pochi i diritti, che gli stessi nostri avversarj accordano alla Chiesa, i quali sono restati talvolta in una prudente inazione, o da crudeli persecuzioni impediti empiamente. Siccome però la pratica, quand'è universale e costante, serve a meglio scoprire il diritto; così non mi dispiace di vedermi stimolato da voi a diffondermi alquanto più su questo punto, sul quale non ho tralasciato di darne nelle passate mie lettere un qualche cenno: ed a maggior vostra istruzione vi dico senza punto esitare, che in questa parte la pratica ha sempre corrisposto a quella teorica, che ho dimostrata nelle passate mie lettere, e non è mai andato disgiunto il diritto dal fatto. Non è già ch'io pretenda di sostenere, che la Chiesa abbia nel castigare gli Eretici conservato sempre lo stesso stile. Come da ogni altro tribunale ed in ogni altro affare di mutabile disciplina, così nella difesa della Religione sarebbe ingiusta cosa il pretenderlo dal tribunale della Fede: e sappiamo dai dottissimi Cardinali de Lugo(613) e Brancati(614) e da varj altri canonisti e teologi, che la Chiesa colla sua solita commendevole prudenza e saviezza ha in questa parte variato assai bene regolamento e sistema, passando da uno in altro genere di pene, da una in altra maniera più forte di pronunciarle, secondo che esigeva il ben pubblico ed il buon'ordine del divin Gregge.
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