LETTERA VENTESIMASESTA.
Riforma e più commendevole sistema, che il tribunaledel S. Officio acquistò verso la metà del secolo XVI.
Fra le fante falsità, che il compilatore altre volte citato racconta nella favolosa sua storia riletta da voi, come mi dite, per continuare la serie de' vostri dubbj, non tralascia di frammischiare alla pagina 116. questa verità, che i più importanti stabilimenti non hanno subito tutta la loro perfezione, ma la vanno acquistando col tempo. Nihil est simul & inventum & perfectumt lo disse anche Cicerone(728). A questa comune sciagura è restato soggetto anche il tribunale del S. Officio: e per quanto plausibile e vantaggiosa fosse riuscita la sua prima istituzione, e provvide fossero state le regole e privilegj, che aveva di mano in mano ottenuti e dai Romani Pontefici e da varj Concilj e da sovrani cattolici, non andava però immune da ogni imperfezione e difetto. Il non avere allora gl'Inquisitori una sede fissa e stabile nel medesimo luogo; il non essere le stesse persone addette immobilmente al medesimo impiego; la necessità in cui si trovavano talvolta nelle cause più intralciate e difficili di abbandonare i paesi, nei quali sarebbe stata utilissima la loro presenza, per portarsi a Roma ad esplorare l'oracolo della S. Sede; la mancanza in Roma di uno stabile e ben corredato supremo tribunale addetto alle sole cause di Fede, che fosse pronto ad ascoltarli e suggerir loro le più mature e provvide risoluzioni (chè protettori piuttosto degl'Inquisitori che Inquisitori generali chiamar si possono que' pochi Cardinali, che riportano il Pegna(729) e l'Albici(730), destinati talvolta da alcuni Pontefici a loro sollevamento e conforto); l'imperizia in fine di alcuni promossi con poca riflessione dai rispettivi loro Superiori al difficile e gelosissimo impiego, li rendeva talvolta meno atti ed efficaci all'intento.
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