Non da fatti individui, che possono per mille accidentali combinazioni riuscir male anche senza colpa d'alcuno; ma è da valutarsi l'integrità e perfezione di un tribunale dalla giustizia delle sue leggi, dalla bontà delle persone che per lo più lo amministrano, e dall'aggiustatezza e rettitudine delle regole e riti che osserva nel disimpegnare le sue incombenze. Le quali cose essendo salite all'ultimo grado di perfezione nella felice riforma, ch'ebbe il tribunale del S. Officio da Paolo III., Pio V., e Sisto V., per quanto fossero state e precipitose e frequenti le anteriori cadute nate da tutt'altro principio che dalla cattiva sua costituzione, non ha da temere i rimproveri di chicchessia, nè ha bisogno delle nostre apologie e discorsi per sostenersi.
Non è però questo il solo motivo che mi costringe a dover'escludere dal nostro carteggio i fatti particolari, ed a pregar voi a dispensarmi da sì nojose ricerche. Più di questo mi move l'impotenza, in cui mi trovo, di farlo colla dovuta esattezza. Voi ben sapete con quanta premura s'adopera il tribunale per animare la speranza de' ricorrenti, e renderla persuasa che fuori dei casi d'indispensabile necessità non saranno mai manifestati ad alcuno; e quanto sia geloso del segreto in tutta la serie del suo procedere. Lo esige con tal rigore, che non solo costringe col sagro vincolo del giuramento i denuncianti ed i testimoni a nulla ridire, fuori che ai rispettivi confessori, di ciò che hanno detto o sentito in giudizio, ma assoggetta alle pene più [331] rigorose e severe tutti que' ministri che ne fossero o con parole o con fatti violatori sagrilegi, e non vuole che possano essere assoluti che dal Sommo Pontefice, ed al sorgere di qualunque dubbio vuole che sempre sia interpretato a favore del segreto.
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S. Officio Paolo III Pio V Sisto V Sommo Pontefice
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