Se quest'è un'offendere i loro diritti, lascio a voi il giudicarlo. Certo che niun ministro del S. Officio si sarebbe mai lagnato di certi Vescovi e di certi sovrani, se avessero mostrata pel proprio tribunale la centesima parte di quella propensione, ch'egli ha dimostrata per loro. Ma parliamo d'entrambi divisamente, chè riuscirà per tal modo la nostra difesa più convincente e metodica.
Avete già inteso da altra mia lettera che gli affari di Fede alla sola podestà ecclesiastica appartengono per disposizione di quel supremo Signore, dal quale dipendono le umane cose e la stessa podestà de' sovrani; e che questa non è un'incerta opinione di qualche dottore, ma sentimento fermissimo di tutti i Fedeli, non mai contraddetto da quei sovrani medesimi, che senza cessare d'esser cattolici sono stati i più gelosi custodi e difensori del loro scettro reale: e questo è tanto vero, che S. Ambrogio, scrivendo all'Imperator Valentiniano(798), fa le meraviglie, se si dà un solo Fedele che non lo sappia, e dice che questo diritto è appoggiato ed alla Scrittura ed alla pratica: Certe si vel Scripturarum seriem divinarum, vel vetera tempora retractemus, quis est qui abnuat in causa Fidei, in causa, inquam, Fidei Episcopos solere de Imperatoribus Christianis, non Imperatores de Episcopis judicare? Anzi lo confessa lo stesso Guglielmo Beveregio, benchè Protestante, dove dice(799), che si de Fide loquamur christiana, et legibus [367] ad ecclesiasticam spectantibus disciplinam, ipsi etiam Imperatores Christiani ingenue multoties professi sunt, nihil sibi juris in hujusmodi sanciendis rebus tributum esse.
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