A tutta ragione adunque il tribunale del S. Officio conserva anche ai dì nostri la stessa pratica, e sulla scorta di sì luminosi esemplari sforza tutti i Fedeli a denunciare gli Eretici e Sospetti di eresia ai tribunali ecclesiastici. Ed a chi volesse opporre ad una tal costumanza e la legge del Codice, che comanda, Ut invitus agere vel accusare nemo cogatur(949), e la fraterna correzione prescritta da Gesù Cristo a tutti i Fedeli(950), e l'ordine stesso dato da S. Paolo a Tito prima di scomunicare l'Eretico(951), nulla direbbe a proposito. Parla quella dell'accusa, non della denuncia: e parla de' delitti privati e meno atroci, non di questo, che è pubblico ed atrocissimo. E quanto all'altre testimonianze, mal si confondono le massime, che dà S. Paolo a tutti i Fedeli pel privato loro regolamento e governo, con quelle che dà ai Vescovi pel buon'ordine del pastorale loro ministero. Egli ha insegnato in cento luoghi a tutti d'armarsi a vicenda, e di procurare la salute de' loro prossimi nella più plausibile maniera, che non esclude, come abbiamo detto, ma esige piuttosto la controversa denuncia. Insegna in questo luogo in qual modo Tito, che era Vescovo, ha da procedere contro l'Eretico giudicialmente, e dice che lo condanni ad essere evitato da tutti, e che egli stesso si astenga dal comunicare con lui, premesse che abbia le ammonizioni dovute. Così intende questo passo il dottissimo Pegna(952); e la sua interpetrazione, oltre l'avere il seguito di molti altri autori di gran nome, è anche appoggiata ai sentimenti di S. Tommaso, che nel prologo alla spiegazione di [419] questa lettera dice, che Apostolus instruit Titum, quomodo regat Ecclesiam.
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