Non ha mai fine la malvagità di chi si è accinto una volta a disapprovar'il buon'ordine. In qualch'altra cosa si scosta il nostro tribunale dalle comuni pratiche; ma anche in queste può con eguale facilità essere sostenuto e difeso. Una di queste si è, non v'ha dubbio, il costume che ha d'interrogare i rei fra i tormenti anche dopo che hanno confessato i fatti ereticali, per rilevare non i soli complici ma anche se abbiano o no creduto cattolicamente: nel che si [444] mostra in vero assai diverso da tutti gli altri, i quali, paghi per lo più di aver cavata dalla bocca del reo la confessione del fatto criminoso, punto non si curano di rilevare le interne disposizioni del delinquente; e qualunque buona intenzione egli abbia avuta, punto non giova per sottrarlo al meritato castigo. Questa diversità però non è stata introdotta senza ragione, nè punto pregiudica ai delinquenti. Imperocchè il delitto di eresia soggetto al foro esteriore non essendo nè così interno, che non si mostri per lo più anche al di fuori, nè sempre così esterno che non abbia talvolta le radici nell'animo, nè potendo sempre i testimonj deporre come sul fatto esteriore così sulla vantata dallo stesso colpevole interiore incredulità, convien distinguere uno stato dall'altro per poterlo castigare a dovere, e dopo che il giudice si è assicurato del fatto esteriore, che somministra una legittima presunzione dell'interiore infedeltà di chi lo ha commesso, deve inoltrarsi a ricercare se sussista o no realmente la presunta interiore infedeltà: nè può usare altro mezzo per iscoprirlo, che quello dei tormenti, i quali o cangiano la presunzione in una evidente verità confessata dalla bocca stessa del delinquente, e diviene delitto di eresia formale, o dilegua dalla mente del giudice ogni presunzione o sospetto, ed altro non gli resta a purgare che il fatto esteriore, il quale è per se stesso meritevole di correzione ed emenda, e suol'essere castigato con pene assai moderate e discrete.
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