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      E siccome i giovanetti e tutti gli stranieri che si danno allo studio della lingua italiana inciampano spesso, massime nelle parole sdrucciole, per non sapere quale sia la vocale della sillaba su cui cade l'accento, e dall'eccettuarne una piuttosto che un'altra cangia affatto il senso della parola, come in ábitino e abitíno, bália e balía, cántino e cantíno, víolino e violíno, néttare e nettáre, ecc.; così a toglier ogni dubbio in questi casi abbiam posto l'accento acuto (() sulla vocale su cui deve cadere l'accento, affinchè sia reso il giusto significato delle parole impiegate dallo scrittore, lasciandovi però il grave ogni qual volta l'accento e il suono largo concorrano nella vocale stessa.
      In quanto poi agli altri vizi dei quali abbiam detto di voler far cenno, giova rammentare che non si deve pronunziare alla francese l'u italiano nè scambiarlo col v o coll'o dicendo vuomo invece di uomo, pusto, punte invece di posto ponte, ecc.; dare all's il suono della z e viceversa, pronunziando contessa per contezza, ricchessa per ricchezza, ecc.; mutare il c in s nelle parole uscenti in sce sci, dicendo rincresse per rincresce, pesse per pesce, messi per mesci riessi per riesci, ecc.; oscurare il g nei vocaboli che terminano in gna, gne, gno, come bisogna, campagne, compagno, facendoli quasi suonare come se fosse scritto bisonia, campanie, companio.
      Sta poi anche bene il ricordare lo scambio che si fa del suono del t con quello del d, e del p con quello del b, pronunziando nobilmende, dolcemende, ecc. esembio, scembio, ecc., per nobilmente, dolcemente, esempio, scempio (2).


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Dei doveri dell'uomo
di Silvio Pellico
Casa Editrice Italiana Milano
1873 pagine 79