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      Ma beato colui che tròva un degno amico! Abbandonato alla propria fòrza, la sua virtù languiva sovènte: l'esèmpio e l'applauso dell'amico gliela raddoppiano. Forse d'apprima egli èra spaventato, scorgèndosi inclinato a molti difetti e non essèndo consapevole del valore che aveva, la stima dell'uòmo che egli ama lo rialza a' propri sguardi. Ei vergogna ancòra secretamente di non possedere tutti i prègi che l'indulgènza dell'altro gli suppone, ma gli cresce l'animo per faticare a corrèggersi. Si rallegra che le sue buòne qualità non siano sfuggite all'amico; glie n'è grato; ambisce d'acquistarne altre: ed ècco, grazie all'amicizia, talvòlta avanzare vigorosamente vèrso la perfezione un uòmo che n'èra lontano, che lontano ne sarèbbe rimasto.
      Non volerti sforzare ad avere amici. È mèglio non averne alcuno che doversi pentire d'averli scelti con precipitazione. Ma quando uno n'hai trovato, onoralo di elevata amicizia.
      Questo nòbile affètto fu sancito da tutti i filòsofi; è sancito dalla religione.
      Ne incontriamo bègli esempi nella Scrittura: - "L'anima di Giònata si conglutinò all'anima di Davidde... Giònata l'amò come l'anima sua..." - Ma, quello che è più, l'amicizia fu consacrata dallo stesso Redentore. Egli tenne sul suo seno la tèsta di Giovanni che dormiva, e dalla croce, avanti di spirare, pronunciò queste divine paròle, tutto amor figliale ed amicizia: - "Madre, ècco il figlio tuo! Discepolo, ècco la madre tua!"
      Io credo che l'amicizia (intèndo l'elevata, la vera amicizia, quella ch'è fondata sopra una grande stima) sia quasi necessaria all'uòmo per rimoverlo dalle basse tendènze.


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Dei doveri dell'uomo
di Silvio Pellico
Casa Editrice Italiana Milano
1873 pagine 79

   





Scrittura Giònata Davidde Redentore Giovanni