Vèrso altri potremo talvòlta èsser rigidi nei nòstri giudizii e scarsi di gentilezza senza grave colpa; vèrso chi ci giovò, non c'è più lecito mai di preterire da infinite attenzioni per non offènderlo, per non recargli alcuna afflizione, per non diminuire la sua fama, per mostrarci anzi prontissimi a difènderlo ed a consolarlo.
Molti, quando colui che li beneficò prènde o sembra prèndere tròppo altèra opinione del pròprio mèrito vèrso essi, s'irritano come d'imperdonabile indiscretezza e vògliono che questa gli sciòlga dall'obbligazione di èsser grati. Molti, perchè hanno la viltà d'arrossire del beneficio avuto, sono ingegnosi in supporre cha sia stato fatto per intèresse, per ostentazione o per altro indegno motivo, e pènsano da ciò trarre scusa alla loro ingratitudine. Molti, allorchè sono in grado, s'accingono a restituire un benefizio per non aver più il peso della riconoscènza: ciò adempiuto, si credon incolpevoli dimenticando tutti i riguardi che quella impone.
Tutte le astuzie per giustificare l'ingratitudine sono vane: l'ingrato è un vile; e per non cadere in questa viltà, bisogna che la riconoscenza non sia scarsa, bisogna che assolutamente abbondi.
Se il benefattore insuperbisce dei vantaggi che ti portò, se non ha teco la delicatezza che vorresti, se non appare chiarissimo èssere stati generosi i motivi che lo spinsero a giovarti, a te non ispètta il condannarlo. Stèndi un velo sui veri o possibili suoi tòrti e mira soltanto il bène che avesti da lui. Mira questo bène, quand'anche tu lo avessi restituito a mille doppi.
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