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      Talvolta esclamava tra me: "Che brutta parodia è questa! Invece di Giacomo e Giulio, fanciulli ornati de' più splendidi incanti che natura e fortuna possano dare, mi tocca per discepolo un poveretto, sordo, muto, stracciato, figlio d'un ladrone!... che al più diverrà secondino, il che in termine un po' meno garbato si direbbe sbirro.
      Queste riflessioni mi confondeano, mi sconfortavano. Ma appena sentiva io lo strillo del mio mutolino, che mi si rimescolava il sangue, come ad un padre che sente la voce del figlio. E quello strillo e la sua vista dissipavano in me ogni idea di bassezza a suo riguardo. "E che colpa ha egli s'è stracciato e difettoso, e di razza di ladri? Un'anima umana, nell'età dell'innocenza, è sempre rispettabile." Così diceva io; e lo guardava ogni giorno più con amore, e mi parea che crescesse in intelligenza, e confermavami nel dolce divisamento d'applicarmi ad ingentilirlo; e fantasticando su tutte le possibilità, pensava che forse sarei un giorno uscito di carcere ed avrei avuto mezzo di far mettere quel fanciullo nel collegio de' sordi e muti, e di aprirgli così la via ad una fortuna più bella che d'essere sbirro.
      Mentre io m'occupava così deliziosamente del suo bene, un giorno due secondini vengono a prendermi.
      Si cangia alloggio, signore.
      Che intendete dire?
      C'è comandato di trasportarla in un'altra camera.
      Perché?
      Qualch'altro grosso uccello è stato preso, e questa essendo la miglior camera... capisce bene...
      Capisco: è la prima posa de' nuovi arrivati.
      E mi trasportarono alla parte del cortile opposta, ma, ohimè! non più a pian terreno, non più atta al conversare col mutolino.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
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Giacomo Giulio