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      Separiamoci da uomini, senza mormorare, senza gemere; e ch'io oda pronunciare sul mio capo la paterna benedizione"?
      Questo linguaggio mi sarebbe mille volte più piaciuto della finzione. Ma io guardava gli occhi di quel venerando vecchio, i suoi lineamenti, i suoi grigi capelli, e non mi sembrava che l'infelice potesse aver la forza d'udire tai cose.
      E se per non volerlo ingannare io l'avessi veduto abbandonarsi alla disperazione, forse svenire, forse (orribile idea!) essere colpito da morte nelle mie braccia?
      Non potei dirgli il vero, né lasciarglielo tralucere! La mia foggiata serenità lo illuse pienamente. Ci dividemmo senza lagrime. Ma ritornato nel carcere, fui angosciato come l'altra volta, o più fieramente ancora; ed invano pure invocai il dono del pianto.
      Rassegnarmi a tutto l'orrore d'una lunga prigionia, rassegnarmi al patibolo, era nella mia forza. Ma rassegnarmi all'immenso dolore che ne avrebbero provato padre, madre, fratelli e sorelle, ah! questo era quello a cui la mia forza non bastava.
      Mi prostrai allora in terra con un fervore quale io non aveva mai avuto si forte, e pronunciai questa preghiera:
      Mio Dio, accetto tutto dalla tua mano; ma invigorisci sì prodigiosamente i cuori a cui io era necessario, ch'io cessi d'esser loro tale, e la vita d'alcun di loro non abbia perciò ad abbreviarsi pur d'un giorno!
      Oh beneficio della preghiera! Stetti più ore colla mente elevata a Dio, e la mia fiducia cresceva a misura ch'io meditava sulla bontà divina, a misura ch'io meditava sulla grandezza dell'anima umana, quando esce del suo egoismo e si sforza di non aver più altro volere che il volere dell'infinita Sapienza.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
pagine 201

   





Dio Dio Sapienza