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      Giovommi a tal uopo questo espediente. Ogni mattina mia prima occupazione, dopo breve omaggio al Creatore, era il fare una diligente e coraggiosa rassegna d'ogni possibile evento atto a commuovermi. Su ciascuno fermava vivamente la fantasia, e mi vi preparava: dalle più care visite, fino alla visita del carnefice, io le immaginava tutte. Questo tristo esercizio sembrava per alcuni giorni incomportevole, ma volli essere perseverante, ed in breve ne fui contento.
      Al primo dell'anno (1821) il conte Luigi Porro ottenne di venirmi a vedere. La tenera e calda amicizia ch'era tra noi, il bisogno che avevamo di dirci tante cose, l'impedimento che a questa effusione era posto dalla presenza d'un attuario, il troppo breve tempo che ci fu dato di stare insieme, i sinistri presentimenti che mi angosciavano, lo sforzo che facevamo egli ed io di parer tranquilli, tutto ciò parea dovermi mettere una delle più terribili tempeste nel cuore. Separato da quel caro amico, mi sentii in calma; intenerito, ma in calma.
      Tale è l'efficacia del premunirsi contro le forti emozioni.
      Il mio impegno di acquistare una calma costante non movea tanto dal desiderio di diminuire la mia infelicità, quanto dall'apparirmi brutta, indegna dell'uomo, l'inquietudine. Una mente agitata non ragiona più: avvolta fra un turbine irresistibile d'idee esagerate, si forma una logica sciocca, furibonda, maligna: è in uno stato assolutamente antifilosofico, anticristiano.
      S'io fossi predicatore, insisterei spesso sulla necessità di bandire l'inquietudine: non si può esser buono ad altro patto.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
pagine 201

   





Creatore Luigi Porro