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      Là il giovine re senza regno ebbe molte peripezie, patì la fame ne' deserti, militò, visse onorato e felice alla corte del re del Brasile, fu calunniato, perseguitato, costretto a fuggire. Tornò in Europa in sul finire dell'impero napoleonico; fu tenuto prigione a Napoli da Giovacchino Murat, e quando si rivide libero ed in procinto di reclamare il trono di Francia, lo colpì a Bologna quella funesta malattia, durante la quale Luigi XVIII fu incoronato.
     
      CAPO XX
     
      Ei raccontava questa storia con una sorprendente aria di verità. Io, non potendo crederlo, pur l'ammirava. Tutti i fatti della rivoluzione francese gli erano notissimi; ne parlava con molta spontanea eloquenza, e riferiva ad ogni proposito aneddoti curiosissimi. V'era alcun che di soldatesco nel suo dire, ma senza mancare di quella eleganza ch'è data dall'uso della fina società.
      Mi permetteretegli dissi "ch'io vi tratti alla buona, ch'io non vi dia titoli."
      Questo è ciò che desiderorispose. "Dalla sventura ho almeno tratto questo guadagno, che so sorridere di tutte le vanità. V'assicuro che mi pregio più d'esser uomo che d'esser re."
      Mattina e sera, conversavamo lungamente insieme; e, ad onta di ciò ch'io reputava esser commedia in lui, l'anima sua mi pareva buona, candida, desiderosa d'ogni bene morale. Più volte fui per dirgli: "Perdonate, io vorrei credere che foste Luigi XVII, ma sinceramente vi confesso che la persuasione contraria domina in me, abbiate tanta franchezza da rinunciare a questa finzione". E ruminava tra me una bella predicuccia da fargli sulla vanità d'ogni bugia, anche delle bugie che sembrano innocue.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
pagine 201

   





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