Mi vestii con grande celerità, e seguii i miei accompagnatori senza pur poter salutare ancora il mio vicino. Mi pare d'aver udito la sua voce, e m'increbbe di non potergli rispondere.
Dove si va?
dissi al conte, montando in carrozza con lui e con un uffiziale di gendarmeria.
Non posso significarglielo finché non siamo un miglio al di là di Milano.
Vidi che la carrozza non andava verso porta Vercellina, e le mie speranze furono svanite!
Tacqui. Era una bellissima notte con lume di luna. Io guardava quelle care vie, nelle quali io aveva passeggiato tanti anni così felice; quelle case, quelle chiese. Tutto mi rinnovava mille soavi rimembranze.
Oh corsia di porta Orientale! Oh pubblici giardini, ov'io avea tante volte vagato con Foscolo, con Monti, con Lodovico di Breme, con Pietro Borsieri, con Porro e co' suoi figliuoli, con tanti altri diletti mortali, conversando in sì gran pienezza di vita e di speranze! Oh come nel dirmi ch'io vi vedeva per l'ultima volta, oh come al vostro rapido fuggire a' miei sguardi, io sentiva d'avervi amato e d'amarvi! Quando fummo usciti dalla porta, tirai alquanto il cappello sugli occhi, e piansi, non osservato.
Lasciai passare più d'un miglio, poi dissi al conte B.:
Suppongo che si vada a Verona.
Si va più in là;
rispose "andiamo a Venezia, ove debbo consegnarla ad una Commissione speciale."
Viaggiammo per posta senza fermarci, e giungemmo il 20 febbraio a Venezia.
Nel settembre dell'anno precedente, un mese prima che m'arrestassero, io era a Venezia, ed aveva fatto un pranzo in numerosa e lietissima compagnia all'albergo della Luna.
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