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      E dicea:
      Vorrei che ogni volta che rileggerà questo versetto, ella si ricordasse che v'ho impresso un bacio.
      Non sempre per verità i suoi baci cadeano a proposito, massimamente se capitava aprire il Cantico de' Cantici. Allora, per non farla arrossire, io profittava della sua ignoranza del latino, e mi prevaleva di frasi in cui, salva la santità di quel volume, salvassi pur l'innocenza di lei, ambe le quali m'ispiravano altissima venerazione. In tali casi non mi permisi mai di sorridere. Era tuttavia non picciolo imbarazzo per me, quando alcune volte, non intendendo ella bene la mia pseudo-versione, mi pregava di tradurle il periodo parola per parola, e non mi lasciava passare fuggevolmente ad altro soggetto.
     
      CAPO XXXII
     
      Nulla è durevole quaggiù! La Zanze ammalò. Ne' primi giorni della sua malattia, veniva a vedermi lagnandosi di grandi dolori di capo. Piangeva, e non mi spiegava il motivo del suo pianto. Solo balbettò qualche lagnanza contro l'amante. "È uno scellerato," diceva ella "ma Dio gli perdoni!"
      Per quanto io la pregassi di sfogare, come soleva, il suo cuore, non potei sapere ciò che a tal segno l'addolorasse.
      Tornerò domattinami disse una sera. Ma il dì seguente il caffè mi fu portato da sua madre, gli altri giorni da' secondini, e la Zanze era gravemente inferma.
      I secondini mi dicean cose ambigue dell'amore di quella ragazza, le quali mi faceano drizzare i capelli. Una seduzione?
      Ma forse erano calunnie. Confesso che vi prestai fede, e fui conturbatissimo di tanta sventura.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
pagine 201

   





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