Il mio primo sentimento fu d'affezionarmi a quell'incognito, di commuovermi sulle sue sventure, d'esser pieno di gratitudine per la benevolenza ch'ei mi dimostrava. "Sì," sclamai "accetto la tua proposizione, o generoso. Possano le mie lettere darti egual conforto a quel che mi daranno le tue, a quel che già traggo dalla tua prima!"
E lessi e rilessi quella lettera con un giubilo da ragazzo, e benedissi cento volte chi l'avea scritta, e pareami ch'ogni sua espressione rivelasse un'anima schietta e nobile.
Il sole tramontava; era l'ora della mia preghiera. Oh come io sentiva Dio! com'io lo ringraziava di trovar sempre nuovo modo di non lasciar languire le potenze della mia mente e del mio cuore! Come mi si ravvivava la memoria di tutti i preziosi suoi doni!
Io era ritto sul finestrone, le braccia tra le sbarre, le mani incrocicchiate: la chiesa di San Marco era sotto di me, una moltitudine prodigiosa di colombi indipendenti amoreggiava, svolazzava, nidificava su quel tetto di piombo: il più magnifico cielo mi stava dinanzi: io dominava tutta quella parte di Venezia ch'era visibile dal mio carcere: un romore lontano di voci umane mi feriva dolcemente l'orecchio. In quel luogo infelice ma stupendo, io conversava con Colui, gli occhi soli del quale mi vedeano, gli raccomandava mio padre, mia madre, e ad una ad una tutte le persone a me care e sembravami ch'ei mi rispondesse: "T'affidi la mia bontà!" ed io esclamava: "Si, la tua bontà m'affida!".
E chiudea la mia orazione intenerito, confortato, e poco curante delle morsicature che frattanto m'aveano allegramente dato le zanzare.
| |
Dio San Marco Venezia Colui
|