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      Che, se per nuove riflessioni ei giudicava l'assunto troppo temerario, facessimo lo sforzo di rinunciare al conforto promessoci dal carteggio, e ci contentassimo d'esserci conosciuti collo scambio di poche parole ma indelebili e mallevadrici di alta amicizia.
      Scrissi quattro pagine caldissime del più sincero affetto, accennai brevemente il soggetto della mia prigionia, parlai con effusione di cuore della mia famiglia e d'alcuni altri miei particolari, e mirai a farmi conoscere nel fondo dell'anima.
      A sera la mia lettera fu portata. Non avendo dormito la notte precedente, era stanchissimo; il sonno non si fece invocare, e mi svegliai la mattina seguente ristorato, lieto, palpitante al dolce pensiero d'aver forse a momenti la risposta dell'amico.
     
      CAPO XXXVI
     
      La risposta venne col caffè. Saltai al collo di Tremerello, e gli dissi con tenerezza: "Iddio ti rimuneri di tanta carità!". I miei sospetti su lui e sull'incognito s'erano dissipati, non so né anche dir perché; perché m'erano odiosi; perché avendo la cautela di non parlar mai follemente di politica, m'apparivano inutili; perché mentre sono ammiratore dell'ingegno di Tacito, ho tuttavia pochissima fede nella giustezza del taciteggiare, del veder molto le cose in nero.
      Giuliano (così piacque allo scrivente di firmarsi) cominciava la lettera con un preambolo di gentilezze, e si diceva senza alcuna inquietudine sull'impreso carteggio. Indi scherzava dapprima moderatamente sul mio esitare, poi lo scherzo acquistava alcun che di pungente.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
pagine 201

   





Tremerello Tacito