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      Alcuni si posarono sui piombi della chiesa, altri girarono lungamente per aria, e discesero a terra. Vidi che andavano tanto dispersi, da non esservi pericolo che alcuno li raccogliesse e ne capisse il mistero.
      Scrissi poscia a Giuliano, e presi tutta la cura per non essere e per non apparire indispettito.
      Scherzai sul suo timore ch'io portassi la sottigliezza di coscienza ad un grado non accordabile colla filosofia, e dissi che sospendesse almeno intorno a ciò i suoi giudizi. Lodai la professione ch'ei faceva di sincerità, l'assicurai che m'avrebbe trovato eguale a sé in questo riguardo, e soggiunsi che per dargliene prova io m'accingeva a difendere il Cristianesimo; "ben persuaso" diceva io "che, come sarò sempre pronto ad udire amichevolmente tutte le vostre opinioni, così abbiate la liberalità d'udire in pace le mie".
      Quella difesa, io mi proponeva di farla a poco a poco, ed intanto la incominciava, analizzando con fedeltà l'essenza del Cristianesimo: - culto di Dio, spoglio di superstizioni, - fratellanza fra gli uomini, - aspirazione perpetua alla virtù, - umiltà senza bassezza, - dignità senza orgoglio, - tipo, un uomo-Dio! Che di più filosofico e di più grande?
      Intendeva poscia di dimostrare, come tanta sapienza era più o meno debolmente trasparsa a tutti coloro che coi lumi della ragione aveano cercato il vero, ma non s'era mai diffusa nell'universale: e come, venuto il divin Maestro sulla terra, diede segno stupendo di sé, operando coi mezzi umanamente più deboli quella diffusione.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
pagine 201

   





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