Perché mi sai infermo, ti riaccosti ipocritamente a me, sperando che la malattia indebolisca il mio spirito e mi tragga ad ascoltare le tue prediche...
E andava innanzi di questo modo, vituperandomi con violenza, schernendomi, ponendo in caricatura tutto ciò ch'io gli avea detto di religione e di morale, protestando di vivere e di morire sempre lo stesso, cioè col più grand'odio e col più gran disprezzo contro tutte le filosofie diverse dalla sua.
Restai sbalordito!
Le belle conversioni ch'io fo!
dicev'io con dolore ed inorridendo. "Dio m'è testimonio se le mie intenzioni non erano pure! - No, queste ingiurie non le ho meritate! - Ebbene, pazienza; è un disinganno di più. Tal sia di colui, se s'immagina offese per aver la voluttà di non perdonarle! Più di quel che ho fatto non sono obbligato di fare."
Tuttavia, dopo alcuni giorni il mio sdegno si mitigò, e pensai che una lettera frenetica poteva essere stato frutto d'un esaltamento non durevole. "Forse ei già se ne vergogna" diceva io "ma è troppo altero da confessare il suo torto. Non sarebbe opera generosa, or ch'egli ha avuto tempo di calmarsi, lo scrivergli ancora?"
Mi costava assai far tanto sacrifizio d'amor proprio, ma lo feci. Chi s'umilia senza bassi fini, non si degrada, qualunque ingiusto spregio gliene torni.
Ebbi per risposta una lettera meno violenta, ma non meno insultante. L'implacato mi diceva ch'egli ammirava la mia evangelica moderazione.
Or dunque ripigliamo pureproseguiva egli "la nostra corrispondenza; ma parliamo chiaro.
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