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      Convieni ch'io avessi operato sognando o delirando, senza più serbarne alcuna memoria; ma non potea crederlo, e d'allora in poi stava in sospetto ogni notte d'essere strangolato.
      Capisco quanto simili vaneggiamenti debbano essere ridicoli altrui, ma a me che li provai faceano tal male che ne raccapriccio ancora.
      Si dileguavano ogni mattino; e finché durava la luce del dì, io mi sentiva l'animo così rinfrancato contro que' terrori, che mi sembrava impossibile di doverli mai più patire. Ma al tramonto del sole io cominciava a rabbrividire, e ciascuna notte riconduceva le brutte stravaganze della precedente.
      Quanto maggiore era la mia debolezza nelle tenebre, tanto maggiori erano i miei sforzi durante il giorno per mostrarmi allegro ne' colloquii co' compagni, co' due ragazzi del patriarcato e co' rnici carcerieri. Nessuno, udendomi scherzare com'io faceva, si sarebbe immaginato la misera infermità ch'io soffriva. Sperava con quegli sforzi di rinvigorirmi; ed a nulla giovavano. Quelle apparenze notturne, che il giorno io chiamava sciocchezze, la sera tornavano ad essere per me realtà spaventevoli.
      Se avessi ardito, avrei supplicato la Commissione di mutarmi di stanza, ma non seppi mai indurmivi, temendo di far ridere.
      Essendo vani tutti i raziocinii, tutti i proponimenti, tutti gli studii, tutte le preghiere, l'orribile idea d'essere totalmente e per sempre abbandonato da Dio s'impadronì di me.
      Tutti que' maligni sofismi contro la Provvidenza, che in istato di ragione, poche settimane prima, m'apparivano sì stolti, or vennero a frullarmi nel capo bestialmente, e mi sembrarono attendibili.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
pagine 201

   





Commissione Dio Provvidenza