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      Lottai contro questa tentazione parecchi dì, poi mi vi abbandonai.
      Sconobbi la bontà della religione; dissi, come avea udito dire da rabbiosi atei, e come testé Giuliano scriveami: "La religione non vale ad altro che ad indebolire le menti". M'arrogai di credere che rinunciando a Dio la mente mi si rinforzerebbe. Forsennata fiducia! Io negava Dio, e non sapea negare gl'invisibili malefici enti che sembravano circondarmi e pascersi de miei dolori.
      Come qualificare quel martirio? Basta egli il dire ch'era una malattia? od era egli, nello stesso tempo, un castigo divino per abbattere il mio orgoglio e farmi conoscere che, senza un lume particolare, io potea divenire incredulo come Giuliano, e più insensato di lui?
      Checché ne sia, Dio mi liberò di tanto male quando meno me l'aspettava.
      Una mattina, preso il caffè, mi vennero vomiti violenti, e coliche. Pensai che m'avessero avvelenato. Dopo la fatica de' vomiti, era tutto in sudore, e stetti a letto. Verso mezzogiorno mi addormentai, e dormii placidamente fino a sera.
      Mi svegliai, sorpreso di tanta quiete; e, parendomi di non aver più sonno, m'alzai. "Stando alzato" diss'io "sarò più forte contro i soliti terrori."
      Ma i terrori non vennero. Giubilai, e nella piena della mia riconoscenza, tornando a sentire Iddio, mi gettai a terra ad adorarlo e chiedergli perdono d'averlo per più giorni negato. Quell'effusione di gioia esaurì le mie forze, e fermatomi in ginocchio alquanto, appoggiato ad una sedia, fui ripigliato dal sonno, e m'addormentai in quella posizione.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
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