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      Quella luce veniva dal finestruolo a tramontana, sotto il quale io giaceva.
      Balzo a terra, prendo il tavolino, lo metto sul letto, vi sovrappongo una sedia, ascendo; - e veggo uno de' più belli e terribili spettacoli di fuoco, ch'io potessi immaginarmi.
      Era un grande incendio, a un tiro di schioppo dalle nostre carceri. Prese alla casa ov'erano i forni pubblici, e la consumò.
      La notte era oscurissima, e tanto più spiccavano que' vasti globi di fiamme e di fumo, agitati com'erano da furioso vento. Volavano scintille da tutte le parti, e sembrava che il cielo le piovesse. La vicina laguna rifletteva l'incendio. Una moltitudine di gondole andava e veniva. Io m'immaginava lo spavento ed il pericolo di quelli che abitavano nella casa incendiata e nelle vicine, e li compiangeva. Udiva lontane voci d'uomini e donne che si chiamavano: Tognina! Momolo! Beppo! Zanze!. Anche il nome di Zanze mi sonò all'orecchio! Ve ne sono migliaia a Venezia; eppure io temeva che potesse essere quell'una, la cui memoria m'era sì soave! "Fosse mai là quella sciagurata? e circondata forse dalle fiamme? Oh potessi scagliarmi a liberarla!"
      Palpitando, raccapricciando, ammirando, stetti sino all'aurora a quella finestra; poi discesi oppresso da tristezza mortale, figurandomi molto più danno che non era avvenuto. Tremerello mi disse non essere arsi se non i forni e gli annessi magazzini, con grande quantità di sacchi di farina.
     
      CAPO XLIX
     
      La mia fantasia era ancora vivamente colpita dall'aver veduto quell'incendio, allorché, poche notti appresso - io non era ancora andato a letto, e stava al tavolino studiando, e tutto intirizzito dal freddo -, ecco voci poco lontane: erano quelle del custode, di sua moglie, de' loro figli, de' secondini: "Il fogo! il fogo.


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Le mie prigioni
di Silvio Pellico
pagine 201

   





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